domenica 5 gennaio 2014

Don Cherry, Art Deco ( A&M, 1988 )

Il viaggiatore, lo zingaro alla scoperta del suono del mondo si ferma e ritrova i suoi vecchi compagni d'avventura ornettiana (il quartetto di Orenette Coleman aveva iniziato a suonare insieme sin dalla metà degli anni Cinquanta). E cosi', dopo i pellegrinaggi che avevano toccato la musica di Bali, Giava e Haiti, Don Cherry vuole ritrovare se stesso, le sue radici, quella identità umana che gli Stati Uniti gli avevano sempre negato: Non penso di essere stato un jazzman glorioso in America>>. Art Deco, infatti, rappresenta un ritorno alle strutture più classiche del jazz, un voler guardare indietro lasciando da parte il discorso politematico delle suite inaugurate con Togetherness equella ripetitività estatica dai timbri esotici che l'aveva accompagnato sin dai suoi dischi Ecm. Cherry fu considerato sempre un outsider di lusso nel circuito jazzistico; eppure la sua musica, specialmente negli anni Settanta, è stata invece più vendibile di tanti altri personaggi anche del rock (Brown Rice fu un caso eclatante). Erano i tempi della moglie Moki, degli strani soprammobili di cui era un collezionista incallito, di strumenti esotici sconosciuti. Erano i tempi del misticismo: <<La musica ha un carattere mistico.Mentre uno suona possono accadere cose della cui esistenza non si sarebbe mai avuto il sospetto. Musicisti come John Coltrane e Albert Ayler hanno questa qualità spirituale. Essi portano questo respiro con sè>>.
RATING: ****

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